Privacy Policy Cookie Policy
top of page

Aspetti culturali della Tunisia

  • Immagine del redattore: Max RAMPONI
    Max RAMPONI
  • 26 ott
  • Tempo di lettura: 4 min

Aggiornamento: 27 ott


tun

Ci sono Paesi che si lasciano descrivere con le statistiche, e poi c’è la Tunisia, che sfugge a ogni definizione. È un equilibrio sottile tra due mondi che non si assomigliano ma si riconoscono nello stesso specchio: l’Africa e l’Europa. Un lembo di terra sospeso, dove la luce sa essere crudele e tenera nello stesso istante.La religione, qui, non è un dogma ma un’abitudine. È la voce del muezzin che si intreccia con il clacson del traffico, il pane che cuoce mentre qualcuno stende il tappeto per la preghiera. L’islam tunisino è una fede che accompagna, non che impone. È parte del paesaggio sonoro e umano del Paese, una melodia che si sente senza essere gridata. Persino chi non prega lo fa con rispetto, come se la fede appartenesse a tutti e a nessuno.


L’ospitalità, invece, è un istinto primordiale. Non si programma, accade. Ti invitano a bere un tè alla menta senza sapere chi sei, ti offrono un pezzo di pane senza chiederti perché sei lì. Non è una forma di gentilezza, è una forma di appartenenza: in Tunisia si condivide per esistere. Un bicchiere, una risata, una sigaretta spenta, e sei già dentro una storia che non ti apparteneva ma ora ti riguarda.


La lingua tunisina è un gioco di specchi: un miscuglio di arabo, francese, italiano e berbero che cambia suono da una città all’altra, da una bocca all’altra. È una lingua che non pretende di essere pura, ma funzionale, e forse proprio per questo è così viva. In Tunisia si parla per essere capiti, non per avere ragione. Ogni parola è un compromesso, un ponte gettato su secoli di dominazioni e memorie.

La famiglia, invece, è l’asse invisibile attorno a cui ruota tutto. È rifugio e catena, riflesso e controllo. In Tunisia si nasce dentro un clan e si resta figli per sempre. La libertà non si conquista uscendo, ma imparando a respirare dentro l’abbraccio, anche quando stringe troppo. La società tunisina vive di questa tensione sottile: l’individuo che cresce all’ombra del gruppo, la collettività che protegge ma non lascia andare.

Poi ci sono le donne. Nessun altro Paese arabo somiglia alla Tunisia quando si parla di loro. Qui la donna lavora, guida, discute, si impone. È emancipata per legge e spesso anche per carattere. Ma dietro il velo o dietro i capelli sciolti, resta una battaglia quotidiana tra il possibile e il consentito. È la Tunisia che cambia senza fare rumore, quella che si misura nella voce di una ragazza che ride forte per strada e non chiede scusa a nessuno.


Tunisi, la capitale, è un duello continuo tra modernità e tradizione. Un minareto accanto a un grattacielo, un venditore di fichi d’India sotto un’insegna al neon, un caffè ottocentesco a pochi metri da una start-up. Qui l’antico non muore mai: si adatta, si piega, resta in agguato dentro le abitudini quotidiane. La Tunisia non ha mai rotto con il passato — lo ha semplicemente inglobato, come si fa con un profumo che non si vuole perdere.


Il tempo, in Tunisia, è un animale lento. “Subiya” può voler dire tra un’ora o domani. Non è indifferenza: è filosofia. La fretta non è un valore, e l’attesa è una forma di rispetto. Il tempo tunisino non si misura, si vive. Ti insegna a non pretendere, ma ad accogliere.


Il cibo, come in ogni cultura che ha sofferto la fame, è un atto di memoria. Il couscous della domenica, il brik del Ramadan, il tè alla menta con troppo zucchero. In Tunisia si mangia per ricordare, non per riempirsi. Ogni piatto è un’eredità, ogni ricetta è un pezzo di genealogia domestica. E se ti invitano a tavola, non puoi rifiutare: sarebbe come negare un legame.


Essere tunisino significa convivere con molte identità e non sceglierne nessuna. È essere arabo e mediterraneo, africano e francese, laico e devoto nello stesso respiro. È vivere in un mosaico che non si ricompone mai del tutto, ma che resiste nella sua imperfezione. È questo il segreto del Paese: non cercare la purezza, ma la coesistenza.


La vera cultura tunisina non si studia, si respira. È nei caffè dove gli uomini discutono di politica, nelle donne che parlano piano ma decidono forte, nei bambini che corrono scalzi in una strada che sa di mare e gas di scarico. È nell’arte di arrangiarsi, di sorridere quando tutto sembra immobile. È la capacità di trasformare il poco in abbastanza.


La Tunisia non è una meta. È un linguaggio, e chi vi arriva ne diventa una parola temporanea. Qui niente è definitivo, nemmeno i confini. C’è un’umanità ruvida ma generosa, una bellezza stanca ma sincera. E chi ci resta, anche solo per un po’, capisce che la cultura tunisina non si racconta: ti sceglie, ti attraversa, e ti lascia addosso l’odore della sabbia quando il vento cambia. Questi sono gli aspetti culturali della Tunisia...

✍️ Testo di Max Ramponi

 🌍 Lost in Tunisia – La Tunisia non si visita: si attraversa

 ✅ FAKE FREE – Contenuti indipendenti, senza pubblicità né sponsor

 © 2025 Lost in Tunisia | Riproduzione vietata | Tutti i diritti riservati


Commenti


bottom of page