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Sidi Bou Saïd non è più un sogno azzurro

  • Immagine del redattore: Max RAMPONI
    Max RAMPONI
  • 25 ott
  • Tempo di lettura: 3 min

Aggiornamento: 27 ott

SIDIBOUSAID

C’è un punto esatto in cui il blu si arrende al bianco, e il mare di Tunisi diventa specchio per un villaggio che un tempo sembrava appartenere solo alla luce. Si chiama Sidi Bou Saïd, e per decenni è stato il sogno azzurro del Mediterraneo: case imbiancate a calce, porte intarsiate di blu intenso, terrazze che si arrampicano come pensieri verso il cielo. Un luogo così perfetto da sembrare irreale. Ma oggi quella perfezione ha un prezzo, e il sogno rischia di sbiadire sotto il peso dei turisti e del tempo.


Per anni Sidi Bou Saïd è stato un rifugio per artisti, intellettuali e sognatori. Paul Klee, André Gide, Simone de Beauvoir e tantissimi altri vi trovarono ispirazione, rapiti da una bellezza fragile e sospesa. Oggi, quel silenzio poetico è stato sostituito dal frastuono delle comitive, dai flash, dai venditori ambulanti che si contendono ogni angolo. Il villaggio è diventato un palcoscenico, dove la vita quotidiana si è trasformata in un set per smartphone. Le case che un tempo erano abitate da famiglie tunisine sono ora guesthouse per stranieri, e gli antichi cortili sono diventati boutique o lounge bar con vista panoramica.


Il fenomeno ha un nome preciso: gentrificazione. Una parola fredda che nasconde una verità amara. Quando un luogo si trasforma in marchio, chi lo abitava davvero finisce ai margini. Gli affitti aumentano, le botteghe si svuotano di artigianato autentico e si riempiono di souvenir senza anima. Il villaggio si veste per piacere, non per vivere. Sidi Bou Saïd oggi è un esempio lampante di come il turismo possa salvare e allo stesso tempo snaturare. È diventato un museo a cielo aperto, bellissimo ma muto.


Eppure, basta camminare un po’ più in alto, lontano dai gruppi di visitatori, per sentire ancora l’eco di ciò che fu. Il rumore di una porta che si chiude piano, il profumo del gelsomino, una finestra socchiusa che lascia intravedere un tè fumante. La Tunisia più vera è ancora lì, dietro le facciate perfette, in quelle case che resistono al tempo e alle mode. Chi sa guardare oltre la superficie, scopre che Sidi Bou Saïd non ha perso del tutto la sua anima: si è solo nascosta, come una vecchia fotografia ingiallita che attende di essere ritrovata.


Forse la vera sfida, oggi, è proprio questa: restituire al villaggio la sua voce. Trovare un equilibrio tra turismo e vita, tra desiderio e rispetto. Viaggiare in Tunisia non significa collezionare immagini, ma comprendere un ritmo diverso, più lento, più umano. Sidi Bou Saïd non è più solo un luogo da fotografare, ma una domanda: cosa resta della bellezza quando diventa troppo visibile?


In quella domanda si nasconde la Tunisia di oggi — bellissima, contraddittoria, sospesa fra memoria e cambiamento. E se il sogno azzurro si è un po’ offuscato, forse è il momento giusto per guardarlo da vicino, senza filtri. Perché certe verità, come certi colori, non brillano sotto il sole di mezzogiorno, ma solo nella luce malinconica del tramonto.

📍 Fonti:

– Reuters, Tunisia tourist revival a rare bright spot for crisis-hit economy, giugno 2023

– ResearchGate, Mass Tourism in Crisis? Tunisia, H. Jeffrey, 2017

– Sustainability Journal, Assessment of the Overtourism Phenomenon Risk in Tunisia, 2020

– Archnet, Sidi Bou Saïd Conservation Project

– Aborn Traveller, What’s It Like Visiting Sidi Bou Saïd, Tunisia?, luglio 2025

✍️ Testo di Max Ramponi

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