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Specchi d’acqua e di sangue: le similitudini tra italiani e tunisini

  • Immagine del redattore: Max RAMPONI
    Max RAMPONI
  • 27 ott
  • Tempo di lettura: 4 min

ITATUN

Ci sono giorni in cui il mare sembra più uno specchio che un confine. Lo guardi da Tunisi, e potresti giurare di scorgere dall’altra parte un’Italia fatta di ulivi, piazze e voci che si accavallano. Lo guardi da Sicilia, e ti sembra di sentire l’odore del caffè amaro servito nei bicchierini di vetro della Medina. Italia e Tunisia non sono due mondi separati: sono due riflessi dello stesso volto, due frammenti di uno specchio rotto dal tempo, ma che continua a riflettere la stessa luce mediterranea. Le similitudini tra italiani e tunisini non si trovano nei libri di storia, ma nei gesti quotidiani, nel modo in cui si parla, si mangia, si litiga e si ride. C’è un’umanità rumorosa che ci accomuna, una propensione naturale al contatto, alla parola, al gesto largo. Nessuno dei due popoli sa stare in silenzio troppo a lungo. Entrambi hanno bisogno di raccontare, di spiegare, di contraddirsi. E spesso, più che comunicare, mettono in scena la vita stessa.


In Italia come in Tunisia, la famiglia è un universo compatto e contraddittorio, pieno d’amore e di frizioni. Si cresce nella certezza che la tavola sia un luogo sacro, che il cibo non sia solo nutrimento ma linguaggio. L’olio d’oliva, il pane, il pesce, la pasta o il couscous: cambia la forma, ma non la sostanza. Tutto ruota attorno al convivio, alla condivisione, al calore umano. Anche la religione, pur con le sue differenze, è vissuta con la stessa teatralità mediterranea: Dio non è distante, ma parte del quotidiano. Lo si invoca, lo si ringrazia, a volte lo si rimprovera. È una presenza familiare, non un concetto astratto.


Poi c’è il rapporto col tempo. Né italiani né tunisini lo vivono come un’equazione. Il tempo si adatta alle persone, non il contrario. È un fluire lento, capace di fermarsi per un caffè o una chiacchiera improvvisata. L’Occidente lo chiama “ritardo”, ma qui ha un altro nome: umanità. Perché dietro ogni minuto di attesa c’è una persona che si è fermata a salutare un amico, a chiedere come sta, a vivere. E vivere, nel Mediterraneo, è un verbo che si coniuga a voce alta.


Anche la diffidenza verso il potere, l’ironia come difesa e la capacità di arrangiarsi ci rendono simili. L’italiano e il tunisino non si fidano facilmente dell’autorità, ma sanno reinventarsi ogni volta. La storia li ha abituati a sopravvivere alle invasioni, ai cambi di bandiera, ai governi improvvisati. Entrambi hanno imparato a cavarsela con ciò che c’è, a trovare una via d’uscita dove sembrava non esserci. È un talento nato dalla necessità, ma diventato arte.


E poi c’è il mare. Quel mare che unisce e divide, che porta e restituisce. Gli italiani lo hanno attraversato per emigrare, i tunisini lo attraversano per cercare altrove una speranza. Ma il mare non dimentica: è lo stesso, con le stesse onde, lo stesso sale, lo stesso orizzonte. E chi lo guarda ogni giorno finisce per assomigliargli: inquieto, mutevole, profondo, ma sempre vivo.

Le similitudini tra Italia e Tunisia non sono un’invenzione romantica. Sono il risultato di secoli di mescolanza, di commerci, di dominazioni, di amori e di partenze. I fenici portarono le lettere, i romani le strade, gli arabi la geometria, gli italiani le fabbriche e il cinema. Ognuno ha lasciato qualcosa, e nessuno se n’è mai andato davvero. Il Mediterraneo non cancella: sedimenta.

Vivendo tra le due rive, ti accorgi che i confini sono illusioni disegnate sulla sabbia. I tunisini hanno la stessa voglia di vivere, la stessa ironia stanca degli italiani, la stessa capacità di lamentarsi e poi ridere della propria sfortuna. Gli italiani, a loro volta, hanno la stessa dolcezza feroce dei tunisini: capaci di slanci generosi e di improvvisi silenzi, di rabbia e di tenerezza nello stesso respiro.


Forse è per questo che chi vive a cavallo tra le due sponde finisce per sentirsi a casa da entrambe le parti e straniero in entrambe. È una condanna dolce, come una nostalgia permanente. L’italiano che vive in Tunisia e il tunisino che lavora in Italia condividono lo stesso destino di sospensione, di identità fluttuante. Entrambi cercano un equilibrio tra due mondi che si guardano e si riconoscono senza mai toccarsi del tutto.

Italia e Tunisia non sono sorelle per geografia, ma per carattere. Due popoli che si capiscono anche senza parlare, che gesticolano nello stesso modo, che trovano nella parola “domani” la stessa ambiguità poetica: promessa o rinvio. Due popoli che sanno essere solenni e cialtroni, spirituali e carnali, furbi e ingenui. Due modi diversi di essere lo stesso Mediterraneo.

E forse la vera differenza non sta tra italiani e tunisini, ma tra chi ha dimenticato il mare e chi ancora lo guarda ogni mattina per capire da che parte soffia il vento.

✍️ Testo di Max Ramponi

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