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Claudia Cardinale era la Tunisia che sapeva sognare

  • Immagine del redattore: Max RAMPONI
    Max RAMPONI
  • 30 ott
  • Tempo di lettura: 4 min
Claudia Cardinale, screenshot dal film Otto e mezzo (Italia, 1963)
Claudia Cardinale, screenshot dal film Otto e mezzo (Italia, 1963)

Non l’ho scritto quando se n’è andata. Mi è rimasto dentro come un rimorso, una di quelle cose che sai di dover dire ma che il tempo ti scivola dalle mani. Il sito allora non esisteva ancora: era un’idea sospesa, un’intuizione nel caos delle giornate, un desiderio che non aveva ancora trovato una forma. Forse era già lì, in un angolo del desktop, tra le cartelle dei progetti che iniziano con entusiasmo e finiscono nel cassetto dei rimandi. E invece no. Lost in Tunisia è nato anche per lei, anche per quello che rappresentava senza mai volerlo davvero.


Avrei voluto scrivere di Claudia Cardinale nei giorni del silenzio, quando tutti postavano foto, titoli, ricordi confezionati. Ma le parole, allora, mi sembravano troppo leggere per contenerla.Forse avevo bisogno che passasse un po’ di tempo, che la retorica si sgonfiasse e restasse soltanto ciò che conta: la gratitudine.

Claudia Cardinale non era solo un’attrice. Era un ponte tra mondi, una creatura sospesa tra mare e memoria. Era la Tunisia che sapeva sognare — quella che parlava francese, italiano, arabo, e in mezzo ci metteva la musica della vita. Nata a La Goulette, nel quartiere dove le culture si mescolavano come i profumi del porto, Claudia portava addosso la luce del Mediterraneo e il disincanto di chi sa che ogni appartenenza è un atto di fede, non un documento.

Nei suoi occhi c’era tutto: il vento salato di Tunisi, il bianco accecante delle case, il vociare delle donne nelle strade, i pomeriggi lunghi dell’infanzia tra una chiesa cattolica, una moschea e un hammam.Era una Tunisia senza barriere, dove l’identità non era una bandiera ma una condizione umana. Quella Tunisia non esiste quasi più. Ma nei suoi sguardi — sul grande schermo o nelle interviste — sopravvive ancora per chi sa riconoscerla.


L’Italia l’ha trasformata in icona, la Francia in leggenda. Ma nessuno dei due Paesi ha mai davvero compreso quanto fosse tunisina nel midollo. Non per folclore, non per esotismo: per radice. La sua bellezza era mediterranea nel senso più pieno del termine — imperfetta, mutevole, carnale, con quella forza che nasce dal sole e dal sale, e quella malinconia che solo chi ha lasciato un porto alle spalle può conoscere. Quando la guardavi, capivi che non recitava mai del tutto. Portava in scena la verità di chi non si è mai tolto la propria infanzia di dosso. Nei film italiani sembrava un’ospite gentile in una terra che non le apparteneva fino in fondo; nei film francesi, un’estranea elegante in un mondo che voleva incasellarla. Ma sotto tutto questo, lei restava la ragazza della Goulette: quella che sapeva ridere con gli occhi, quella che camminava tra le lingue come tra due rive dello stesso mare.


Ecco perché la sua morte non è stata solo la scomparsa di un’artista. È stata come spegnere una luce che illuminava un pezzo di Tunisia che non c’è più: la Tunisia degli anni d’oro, laica, cosmopolita, sfrontata e viva. La Tunisia dei pranzi domenicali alla Goulette, quando gli italiani, i tunisini, gli ebrei e i francesi sedevano agli stessi tavoli senza etichette né sospetti. La Tunisia dove le tovaglie di carta si sporcavano di salsa, il vino si versava senza misura e i bambini correvano sulla spiaggia senza sapere a quale dio appartenessero i loro genitori.


Claudia era il volto di quella stagione. Una stagione di luce, di mescolanza, di promesse mai del tutto mantenute ma neppure dimenticate. Quando la guardavi, capivi che la Tunisia non era solo un Paese: era uno stato d’animo. E lei lo rappresentava meglio di chiunque altro.


Ricordarla oggi non significa piangere un’assenza, ma riconoscere una continuità. Perché in ogni tunisino che si sente un po’ italiano, in ogni italiano che si sente un po’ tunisino, c’è ancora qualcosa di quella ragazza che attraversava il mare con la leggerezza di chi non conosce il confine tra “noi” e “loro”. Era il Mediterraneo che sorrideva. Era il ponte che nessuno costruirà mai più, ma che continua a esistere dentro chi ne ha bisogno.


Forse scrivo questo pezzo troppo tardi, ma preferisco così. Quando si ama davvero un luogo o una persona, non serve arrivare per primi: serve arrivare sinceri. E oggi, nel silenzio che resta dopo la tempesta mediatica, sento che questo è il momento giusto per dirle grazie.

Grazie per aver portato la Tunisia nel mondo senza mai venderla. Grazie per aver dimostrato che si può appartenere a più di una terra senza smarrirsi. Grazie per aver incarnato la grazia, la forza e la fragilità di un popolo che esiste solo a metà tra la sabbia e il mare.

Claudia Cardinale non se n’è andata. Ha solo cambiato forma: ora è nel vento che spazza la costa di La Marsa, nel profumo del pane caldo la mattina a Tunisi, nella luce delle donne che ancora ridono anche quando la vita le ha stancate. È nella nostalgia che tutti noi, amanti di questa terra, portiamo come una cicatrice dolce. E se oggi scrivo queste parole è perché certe eredità non si ereditano con i geni, ma con la gratitudine.


Perché sì, Claudia era italiana, era francese, era di tutti. Ma prima di tutto era tunisina.E questa Tunisia — la sua Tunisia — continuerà a vivere ogni volta che qualcuno, guardando il mare da La Goulette, sentirà di appartenere a qualcosa di più grande di sé.

✍️ Testo di Max Ramponi

🌍 Lost in Tunisia – La Tunisia non si visita: si attraversa

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