🇹🇳 TUNISIA, SALA D'ATTESA D'AFRICA
- Max RAMPONI

- 27 ott
- Tempo di lettura: 7 min

Negli ultimi anni la Tunisia è cambiata in un modo che se lo racconti a chi non ci mette piede dal 2018 ti guarda male e ti dice “ma dai, figurati”. Io invece ci vado spesso, ci dormo, ci mangio, ci cammino dentro, e ti dico quello che ho visto: interi quartieri che fino a pochi anni fa erano tunisini – famiglie tunisine, bambini tunisini che giocano in strada, botteghe tunisine – adesso sono diventati un’anticamera dell’Africa nera. Non lo dico con fastidio, lo dico con precisione geografica. È come se una parte dell’Africa subsahariana avesse fatto le valigie, attraversato Algeria e Libia, e si fosse momentaneamente parcheggiata in Tunisia. Persone stanche, che vivono a gruppi, spesso in appartamenti in otto, dieci, dodici. Persone che non sono “immigrate in Tunisia”. Sono ferme in Tunisia. Che è un’altra cosa. La traiettoria è molto semplice, ed è detta chiaramente da loro quando si fidano e parlano: resto qui il tempo di raccogliere abbastanza soldi per pagarmi il posto su una barca per l’Italia. Il piano è sempre quello. Nessuno vuole “stabilirsi”. Vogliono attraversare. La Tunisia è diventata una sala d’attesa. Sala d’attesa senza sedie... la sala d'attesa d'Africa...
Questo è un dettaglio che dall’Europa non si capisce bene, perché in Europa si parla solo della traversata, dell’arrivo a Lampedusa, dell’emergenza sbarchi, della polemica al telegiornale con la faccia rossa del politico di turno. Ma l’Italia è il finale del film. L’inizio del film è nei vicoli di Sfax, di Tunis, di Medenine, negli appartamenti presi in tre giorni e lasciati in una notte. Negli ultimi viaggi ho visto scene che dieci anni fa in Tunisia non vedevi così diffuse: donne con i bambini piccoli legati sulla schiena con il panno colorato tipico dell’Africa occidentale, ragazzi giovani (19, 20 anni) che parlano francese con accento ivoriano o maliano al telefono in vivavoce per strada, gente che improvvisa microeconomie di sopravvivenza (parrucchiere a domicilio, bucato per conto terzi, riparazioni a ore, pulizie, cucina). Una conoscente di famiglia, ad esempio, aveva trovato una femme de ménage “di colore”, come si dice ancora lì senza troppi giri di parole. Una mattina questa ragazza non si è più presentata. Sparita. Nessun messaggio, nessun “scusa oggi non arrivo”. Silenzio. Dopo un po’ ha chiamato: “Sono in Italia. Grazie di tutto”. Fine. Questo è il punto. Spariscono. Non perché trovano un altro lavoro in Tunisia. Spariscono perché prendono il mare.

Da fuori si racconta spesso la favola comoda: “vengono tutti per partire”. Vero. Ma non è tutta la storia. La parte tagliata è che la Tunisia non è solo un corridoio di passaggio ormai, è diventata anche un parcheggio forzato. È diventata, di fatto, un campo di trattenimento a cielo aperto. Tunisia oggi è contemporaneamente: Paese che esporta i suoi giovani verso l’Europa perché l’economia è bloccata, Paese che blocca altri migranti africani per conto dell’Europa, e Paese che li espelle nel deserto quando diventano troppi e troppo visibili, soprattutto nelle città costiere. Questo non è folklore. È documentato da mesi da ONG, giornali internazionali e organismi delle Nazioni Unite: le autorità tunisine hanno smantellato interi campi informali di migranti nella zona di Sfax, soprattutto ad Al Amra, dove c’erano migliaia di persone, fino a 20,000-30,000 accampate sotto teli di plastica, senza acqua e senza assistenza sanitaria stabile. Le tende, i rifugi improvvisati, perfino le piccole attività nate tra loro – cibo, ricariche telefono, un minimo di “farmacia” di fortuna gestita da altri migranti che avevano qualche competenza sanitaria – sono stati buttati giù e bruciati con operazioni di polizia tra aprile e ottobre 2025 per “ripristinare l’ordine”. Tutto questo mentre l’Unione Europea finanzia la Tunisia per “fermare le partenze”, cioè per fare il lavoro sporco di bloccare la rotta verso l’Italia e spingere la gente a tornare indietro “volontariamente”. Le Monde.fr
La parola magica, oggi, è proprio quella: “ritorno volontario”. Volontario. Volontario come quando ti dicono: “O sali su quel volo per Abidjan o per Conakry o resti qui senza acqua in mezzo ai cespugli a 40 gradi con la Guardia Nazionale che ti viene a prendere ogni due ore”. L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (IOM) conferma che in Tunisia, solo nella prima metà del 2025, più di 5.000 persone migranti sono state inserite in programmi di rimpatrio assistito, cioè biglietto di ritorno e un aiuto minimo per “reinserirsi nel Paese d’origine”. Parliamo di un aumento enorme rispetto agli anni precedenti: nel 2024 circa 7.250 persone sono state rimpatriate dalla Tunisia, +183% rispetto al 2023 e +350% rispetto al 2022. Questo non succede perché all’improvviso gli è passata la voglia di raggiungere l’Europa. Succede perché il confine tunisino è diventato un filtro fisico pagato dall’Europa per schiacciare il problema lontano dai nostri occhi. Mixed Migration Centre+1
Nel frattempo, la realtà resta sporca e semplice: chi non riesce a partire, resta sospeso. Quella gente che io vedo nei quartieri popolari di Tunis o in certe zone di Sfax – e che dieci anni fa non vedevi così in massa – sta lì in attesa tecnica. Lavora in nero. Donna che fa le pulizie. Ragazzo che porta le buste della spesa. Ragazza che acconcia capelli. Nulla di romantico. Sopravvivere, mettere via contanti, pagare il posto in barca. A volte la barca arriva. A volte affonda. Il Mediterraneo davanti alla Tunisia è oggi il punto più letale delle rotte migratorie al mondo: solo nel tratto tra Tunisia e Italia ci sono stati centinaia di morti e dispersi negli ultimi mesi, con episodi come il naufragio in cui una quarantina di persone sono annegate al largo della costa tunisina. L’IOM ha chiesto più sicurezza sulle rotte dopo l’ennesimo affondamento, ricordando che quasi 9.000 persone sono morte o scomparse sulle rotte migratorie nel mondo nel 2024, e che la rotta tunisina fa parte di questo cimitero liquido. JURIST+1
E c’è un altro livello ancora, quello che nessuno vuole dire troppo forte perché è scomodo sia per Tunisi che per Roma: la Tunisia non è solo corridoio dei subsahariani verso l’Italia. La Tunisia è anche un Paese che sta svuotando se stesso. I tunisini partono. I tunisini stessi rischiano la traversata. Sempre più giovani tunisini, anche classe media, anche con lavoro, anche non “disperati”, decidono che basta e cercano la via del mare. Non è più il racconto anni Novanta del “ragazzo povero che fugge dalla fame”. Adesso è il tassista, l’impiegato, il laureato senza prospettiva, quello che ha fatto tutto giusto e comunque non riesce a vivere con dignità. Reuters ha raccontato che perfino persone considerate “stabili”, con attività loro, prendono il mare sapendo di poter morire, perché la Tunisia oggi non offre più un’uscita pulita. È un Paese dove l’inflazione ti mangia vivo, dove trovi latte oggi e domani no, dove i prezzi di base cambiano mentre paghi alla cassa. E questa pressione spinge anche la borghesia bassa a dire: “se devo affogare, affogo cercando qualcosa di meglio”. Reuters+1
Risultato: la Tunisia è diventata un imbuto. Da Sud salgono persone in fuga da guerre nuove e vecchie – Sudan, Sahel, Congo – che attraversano il deserto, l’Algeria, la Libia, e si fermano lì. Da dentro, i tunisini stessi cercano di uscire da Nord. E in mezzo ci siamo noi europei che paghiamo per tenere chiuso il tappo, fingendo che questo sia “controllo delle frontiere” e non outsourcing del lavoro sporco. Le operazioni di polizia contro i campi informali vicino Sfax – tende bruciate, gruppi caricati su camion e abbandonati verso i confini interni o nel nulla delle zone di frontiera – non sono un segreto umilmente taciuto: sono il messaggio politico. “Vedete? Li stiamo fermando. Mandate soldi.” Questo approccio è stato definito da organizzazioni umanitarie come “devastante” dal punto di vista umanitario, perché lascia migliaia di persone senza riparo, acqua potabile, cure mediche e qualsiasi forma di protezione legale. Le Monde.fr+1
E quindi torniamo all’inizio. Quando io dico: “La Tunisia che vedo oggi è piena di ragazzi e ragazze subsahariani che occupano interi quartieri e poi spariscono da un giorno all’altro”, non è xenofobia da bar, è cronaca di strada. È quello che succede prima che la storia diventi un titolo sui giornali italiani. Sono persone dentro un limbo che non abbiamo il coraggio di chiamare col suo nome: trattenuti abbastanza da non arrivare in Europa, ma lasciati abbastanza liberi da arrangiarsi e pagarsi il viaggio da soli. E se ci riescono, una notte salgono su una barca e tu il giorno dopo non li vedi più. E l’unica cosa che ti lasciano è una chiamata, giorni o settimane dopo: “Sono in Italia. Grazie di tutto.” Poi la linea cade.
📍 “In Tunisia, authorities dismantle migrant camps in Sfax: 'They took everything down, then burned it all'.” (Le Monde Afrique, 8 aprile 2025) è un reportage sulle operazioni di polizia tunisine nei campi informali di migranti nella zona di Al Amra, con migliaia di subsahariani sgomberati e le tende bruciate, nel quadro dell’accordo Tunisia-UE per ridurre le partenze verso l’Europa. Le Monde.fr
📍 “Quarterly Mixed Migration Update: North Africa, Q1 2025.” (Mixed Migration Centre / IOM, 3 aprile 2025) riporta l’aumento del 183% nei rimpatri ‘volontari’ dalla Tunisia nel 2024 rispetto al 2023 e la pressione politica di Tunisi per accelerare i rientri assistiti con fondi internazionali. Mixed Migration Centre
📍 “Over 5000 migrants were assisted through IOM Tunisia's Assisted Voluntary Return and Reintegration Programme during the first part of 2025.” (IOM, 3 agosto 2025) descrive il ruolo della Tunisia come piattaforma di trattenimento e rimpatrio per conto dell’Europa. mena.iom.int
📍 “Middle-class Tunisians risk shipwreck for lure of Europe.” (Reuters, 22 febbraio 2024) racconta come ormai partano via mare anche tunisini con lavoro, spinti dal collasso economico e sociale del Paese. Reuters+1
📍 “IOM calls for enhanced safety after 40 migrants drown in Tunisia shipwreck.” (IOM / JURIST, 25 ottobre 2025) segnala l’ennesimo naufragio al largo della Tunisia e ricorda le migliaia di morti e dispersi lungo la rotta tunisina-italiana. JURIST
✍️ Testo di Max Ramponi
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