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Tunisia Anno Zero – Che fine hanno fatto i gelsomini?

  • Immagine del redattore: Max RAMPONI
    Max RAMPONI
  • 28 ott
  • Tempo di lettura: 3 min

RIVOLUZIONE DEI GELSOMINI TUNISIA 2011

Qualche sera fa, tardi, quando la casa aveva finalmente smesso di respirare, ho riaperto la cartellina dove tengo i miei libri. Quattro, tutti sulla Tunisia. E uno che ancora resiste, in bilico tra la memoria e la disillusione. Mi sono fermato su quello più difficile, il più sincero, quello che non perdona: Tunisia Anno Zero – Che fine hanno fatto i gelsomini?

COPERTINA LIBRO TUNISIA ANNO ZERO
COPERTINA DEL LIBRO TUNISIA ANNO ZERO.

Sul tavolo, una luce calda e obliqua. Nel bicchierino a bolla un dito di grappa friulana, limpida e crudele come certe verità che preferiremmo ignorare. Mia moglie dormiva già, e il silenzio aveva quella densità che solo la notte sa dare. In cuffia, Rachid Taha che canta Ya Rayah. Un brano che conosce la malinconia degli esiliati meglio di chiunque altro: la voce di chi parte e di chi non tornerà mai davvero.


Fuori, la pioggia batteva leggera sui vetri. Dentro, il tempo si era fermato. Ho ripreso in mano le pagine, ingiallite ai bordi come le illusioni. E mi sono chiesto quando, esattamente, la Tunisia ha smesso di crederci. Ricordo ancora le prime immagini del 2011. I volti accesi, le strade piene, la parola “libertà” scritta sui muri con la pittura fresca e le mani tremanti. Un popolo intero che scopriva di avere una voce, e il mondo che applaudiva da lontano come a una recita di riscatto. L’odore dei gelsomini era dappertutto — mescolato al fumo, alla speranza, all’euforia ingenua di chi crede che basti cambiare un uomo per cambiare un sistema.


Poi il vento si è alzato, e i petali si sono dispersi. Le primavere, lo sappiamo, durano solo una stagione. Dopo arrivano i bilanci, i debiti, la stanchezza. I sogni, in Tunisia, hanno il difetto di invecchiare in fretta. Oggi, tredici anni dopo, il Paese vive in apnea. C’è chi guarda il mare pensando all’Europa, chi scava pozzi nella sabbia in cerca di qualcosa da vendere, e chi si rifugia nel silenzio, come si faceva un tempo, quando tutto era proibito. La povertà non fa rumore, ma logora come la ruggine. La rabbia si è fatta sorda. E la parola “rivoluzione” è tornata ad avere un sapore amaro, come il fondo della tazza di caffè.

Non è più un problema di politica, ma di disincanto. La Tunisia di oggi è un corpo che cammina in automatico: parla di futuro ma guarda sempre indietro, come un reduce che non riesce a togliersi la divisa. Il popolo dei gelsomini si è ritrovato con le tasche vuote e la libertà che pesa come una pietra. Eppure, qualcosa resiste. Nei caffè di Tunisi, nei mercati di Sfax, nei cortili di Kairouan, c’è ancora chi discute, chi sogna, chi ostinatamente crede che un giorno la Tunisia troverà un equilibrio tra la sua rabbia e la sua poesia.

Ho finito la grappa. L’ultimo sorso bruciava come un addio. Fuori, la pioggia aveva smesso. Nella cuffia, Ya Rayah si dissolveva piano, come se anche la musica si fosse stancata di sperare. E ho capito che la Tunisia, forse, non è mai uscita davvero dal suo anno zero. I gelsomini non sono morti. Sono solo tornati alle radici, in attesa di qualcuno che si ricordi di annaffiarli.

✍️ Testo di Max Ramponi

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📷 Manifestazioni durante la Rivoluzione dei Gelsomini, Tunisi – gennaio 2011. La folla riunita davanti al quartier generale del partito di Ben Ali, pochi giorni dopo la sua fuga dal Paese.

Foto: Wikimedia Commons – “Rivoluzione dei Gelsomini nel 2011” (Autore: Nacer Talel, licenza CC BY-SA 4.0)


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